Da oltre 24 ore sui social non si parla più così tanto né di calcio né di vacanze né di politica. L’attenzione di tutti è concentrata su una astro-merendina, che finisce la sua corsa siderale in testa a una mamma davanti agli occhi della figlia. Questo è lo spot del Buondì Motta che – tra detrattori ed estimatori – ha già vinto (e non possiamo farci nulla)
Quasi non volevo crederci. Sembrava quasi che l’alternanza sul calendario tra agosto e settembre avesse portato con sé un cambio radicale dell’agenda sociale del Paese, ossia degli argomenti di cui più si dibatte in rete. In un attimo niente più foto di tette & culi in vacanza, niente più caccia al migrante, niente più meme su Game of Thrones, niente più dotte dissertazioni sul mercato dell’Inter. Il tasso di gattini pro-capite presente in bacheca è sceso ai minimi stagionali, così come gli appelli a condividere “ciò-che-i-giornali-censori-non-ti-mostreranno-mai”.
Tutto scalzato via da un croissant. O meglio, da un Buondì Motta. Da ore l’attenzione della cyber-vulgata è concentrata sullo spot in cui la merendina (per l’occasione di stazza degna dell’asteroide di Armageddon) finisce la sua corsa siderale incocciando sulla capoccia di una mamma sotto gli occhi di una figlioletta che immaginiamo affranta. Forte anche del fatto che settembre non ha ancora portato notizie più succulente sulle home page di Corriere e Repubblica (in realtà ci sarebbero anche, ma pagano più news tipo “la bodybuilder resta in mutande durante l’allenamento” o l’epico scontro tra ciclista e tassista incazzosi).
C’è chi ne parla male, arrivando a definire lo spot come diseducativo (eh già, se i nostri figli prendessero esempio e cominciassero a lanciare meteoriti, dove andremo mai a finire?) e chi invece ne coglie l’ironia. Che nello spot gronda in quantità enormi, se solo i più si fossero soffermati sulla cosa. Intendiamoci: nulla di nuovo sotto il sole. Basti pensare all’opera La nona ora di Maurizio Cattelan (1999) per rendersi conto che non è la trovata dell’asteroide il valore aggiunto dello spot (peraltro se all’epoca suscitò scandalo è per la persona colpita, non per il gesto meccanico in sé).
Nel caso del Buondì Motta non c’è splatter o altro, altro che “immagini violente”. Allo stesso modo, mi sembra limitato il giudizio di chi taccia lo spot di essere insignificante senza averne colto alcuni particolari, degni di un Paese ben più ricettivo e non pressoché anestetizzato. Qui – cito una collega e amica, Chiara Brandi – “funziona di più il mugnaio con la gallina in mano, più rassicurante, mette d’accordo tutti e tutti felici e contenti a mangiare merendine di m… È chiaro che è una parabola pubblicitaria: esistono bambine così? (spero di no!) Esistono mamme che passano il tempo si sistemare fiori con il capello appena phonato, la collana di perle e il gofino pastello nello splendido giardino appena annaffiato? Evidentemente no… La storia è evidentemente surreale e rientra in un tipo di linguaggio pubblicitario. Più piacere o no, si scende nel gusto personale, ma come esecuzione a livello di comunicazione la trovo perfetta”.
Chi non mangia Buondì Motta non inizierà certo adesso, è chiaro. Ma a livello di marketing è una trovata geniale: catturare l’attenzione del web prendendo in giro i concorrenti. I prossimi mesi ci diranno se le vendite sono aumentate o meno, sta di fatto che non credo che le mamme non compreranno Buondì Motta per paura che qualcosa cada loro in testa. Non è nemmeno convincente la tesi secondo cui – come pure ho letto – la pubblicità avrebbe mancato l’obiettivo perché non racconta il prodotto. E se così fosse, che dire delle campagne elettorali che da anni hanno smesso di raccontare i programmi ma si concentrano solo sull’immagine del prodotto-candidato? Obiezione accademica, dunque, ma lontana dalla realtà.
E la realtà, che è la stessa in cui un giovane viene massacrato in discoteca senza che nessuno muova un dito, dice che oggi ha vinto l’ufficio marketing della Motta.