Mia nonna, nella sua incorruttibile saggezza, diceva che “quando si mangia si combatte con la morte“. Un’affermazione che a prima vista suona estrema, controintuitiva. Ma come? Al cibo associamo (quasi) sempre l’idea di soddisfazione, se non proprio di piacere, non certo quello di pericolo, e men che meno di pericolo letale. In realtà, a farci attenzione, il rapporto tra cibo e mortalità è – nella lunga storia dell’essere umano – piuttosto diretto: le cucine contemporanee sono il frutto di millenni di sperimentazioni che, volenti o nolenti, hanno lasciato per strada diverse vittime. Ecco perché i nostri antenati, fino a non troppo tempo fa, avevano talvolta paura di certi alimenti. Di questo parla l’ultimo libro dello storico Alberto Grandi, già noto al grande pubblico per il suo bestseller “Denominazione di origine Inventata. Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani”, poi trasformato in un podcast di grande successo.
Storia delle nostre paure alimentari: Come l’alimentazione ha modellato l’identità culturale è un saggio storico che spazia liberamente nei campi dell’antropologia e della sociologia e che mette al centro del suo discorso le paure alimentari. La domanda di partenza è a suo modo semplice: quando i frigoriferi, la pastorizzazione e tutte le altre tecniche di conservazione ancora non esistevano, come faceva l’uomo a essere sicuro di quello che mangiava? Poteva ammalarsi, o addirittura morire, dato che per stabilire se un cibo è pericoloso serve sostanzialmente l’esperienza.
La paura è uno degli stati emotivi più importanti per la sopravvivenza delle specie viventi, un meccanismo di difesa che permette di valutare e prevenire i pericoli. Tale meccanismo, ovviamente, funziona anche per quanto riguarda l’alimentazione: la possibilità di ingerire sostanze tossiche è sempre molto concreta ed è quindi naturale che ogni essere vivente abbia sviluppato sistemi e processi automatici per valutare i potenziali rischi legati all’atto di alimentarsi. E da quando l’uomo si è trasferito nelle città, ha perso il controllo sulla filiera alimentare e ha dovuto istituire meccanismi sempre più complessi per evitare sia la fame che l’ingestione di cibi pericolosi.
In questo continuo lavoro di controllo, di prevenzione e di governo ci sono personaggi che sono costantemente in scena e che hanno spesso la pretesa di sapere cosa si possa e cosa non si possa mangiare. I medici, ovviamente, ma anche i religiosi e i politici ritengono quasi sempre di avere qualcosa da dire in campo alimentare. A questa lista, oggigiorno, aggiungeremmo forse gli influencer, nel bene e nel male.
Alberto Grandi – che potremmo forse ribattezzare il myth-buster della cucina italiana – ripercorre le tappe di questa storia millenaria attraverso aneddoti e vicende curiose, dalla paura della lebbra suina (una malattia inesistente) a quella del pomodoro velenoso, fino alla stigmatizzazione degli OGM, degli insetti e della carne coltivata. E dimostra come dalla paura di un alimento discendano non solo una decisione personale, ma anche decisioni collettive, e quindi politiche ed economiche.