Iguazù è il regno segreto del “world food”, a Firenze, un ristorante che pesca dalle tradizioni orientali e indiane, così come dalle diverse anime della cucina sudamericana. Il contesto è inusuale, la discoteca Otel, ma fidatevi quando vi dico che in città non troverete altrove gli stessi piatti
Un’oncia di coraggio vale una tonnellata di fortuna
(James Abram Garfield)
A volte, per scoprire qualcosa di nuovo, bisogna abbandonare le certezze che si crede di avere e concedersi il beneficio del dubbio. Ciò vale soprattutto nel mondo della ristorazione, dove lasciarsi alle spalle i preconcetti è spesso l’unico modo per affrontare le novità con lo spirito giusto e rischiare di trovare qualcosa di insperato. Che siate esperti addetti ai lavori o semplici appassionati di buona cucina, infatti, tante volte avrete rinunciato a provare un locale perché convinti in partenza di trovarci ciò che immaginavate. È capitato anche al sottoscritto, non è un mistero: ne parlo qui, e l’esperienza è servita per imparare a non dare mai nulla per scontato.
Ecco perché se oggi vi segnalo un ristorante che merita di essere provato, è perché nel proporvi un atto di fiducia so che non ne restereste delusi. Si tratta di Iguazù, a Firenze, all’interno della discoteca Otel. Il nome richiama le celebri cascate tra Brasile e Argentina, e la cucina stessa – ideata da Edoardo Boncinelli, già nel team della sommelierie del Four Seasons Hotel Firenze – è un meltin’ pot di materie prime e preparazioni che si ispirano alle tradizioni orientali e indiane, così come alle diverse anime del Sudamerica. Ecco dunque una carta dove convivono hummus ed edamame, miso e sriracha, curry e yuzu, tapioca e latte di tigre, platano e katsuobushi.
Un viaggio gastronomico intorno al mondo che, sia per la varietà di offerta che per i prezzi a cui è proposto, non ha uguali sul territorio fiorentino. Ci sono ristoranti etnici e fusion, of course, ma non con una vocazione così spiccata a passare da un continente all’altro nel giro di una pagina. Ad esempio, tra gli antipasti c’è il Wagyu Nigiri (nigiri di manzo wagyü scottato, scalogno, uovo di quaglia e salsa al ponzu) a 15 euro, la cui preparazione è visibile qui. Oppure l’Avo Tempura (avocado in tempura con yuzu mayo) o il Buena Suerte (lenticchie cremose al latte di mandorla e curry su purè di patate).
Ma forse l’antipasto che meglio definisce Iguazù sono le due versioni del mini Bun – che a Firenze trova nella cucina di Karime Lopez da Gucci la sua più fine espressione – ossia quella con il lampredotto (glassato con hoisin sauce, sriracha e porri) e quella con l’astice (con salsa special Iguazù, cipollotto e valerina). Si rifanno al mondo delle tapas spagnole invece i Gambas al Ajillo (gamberi al coccio con aglio, peperoncino fresco e prezzemolo) e il Polpo Negro (polpo grigliato al carbone su crema di topinambur, cipollotto e salsa di miso).
Tra gli antipasti di mare, inoltre, molto scenografica è la Crudosfera (ben 32 pezzi assortiti di crudo di pesce abbinati alla fantasia dello chef) nella foto a seguire, mentre fuori dal mainstream sono le due versioni di ceviche (battuta di salmone e branzino, mais tostato, quinoa, topinambur e tartufo, oppure con palamita, avocado e pomodorini confit con mini tacos al mais), nella foto in alto.
Che la cifra distintiva di Iguazù risieda nella commistione di mondi gastronomici è poi evidente nel Tiradito Bacalao, dove le sottili lamelle di baccalà incontrano le chips di tapioca al nero di seppia, una crema di pastinaca (il tubero, non il pesce) e latte di tigre, con fiori eduli e tocchi di bacon.
In un mix tra Usa, Brasile e Giappone, le portate principali di Iguazù comprendono poi il Brisket brasato con spezie e liquirizia servita con purea di topinambur, il churrasco di picanha con ananas piccante e platano grigliato, oppure la zuppa di funghi shiitake, latte di cocco, cavolo nero, ginger, tofu con spaghetti di riso. E ancora il filetto di spigola cotto al forno con platano grigliato e wasabi mayo, o l’astice servito con spaghetti alla chitarra freschi, pomodorini, aglio.
Last but non least, uno dei piatti che abbiamo assaggiato da Iguazù – e difficilmente troveremmo altrove – è un tipo particolare di granchio, una variazione fuori menù del Crab Ramen, la zuppa di crostacei, polpa di granchio, latte di cocco, ginger, chili con spaghetti di riso. A renderlo speciale, sicuramente scenografico, è l’uso del katsuobushi, un filetto di pesce fermentato con una tecnica laboriosa che risale al Seicento, presentato sotto forma di fiocchi finissimi simili a trucioli. Ponendoli accanto alla zuppa di granchio, i fiocchi iniziano a reidratarsi ed assorbendo liquido si muovono come se fossero vivi, “danzando” sulla pietanza (qui).