sabato 27 Aprile 2024
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MotoTaco: i tacos, quelli veri, sbarcano nel Chianti con Riccardo Ricci

Il taco al pastor non è solo un piatto. È un’esperienza emotiva, che il “Motomacellaio” Riccardo Ricci porta nel Chianti con il progetto MotoTaco

Se hai avuto la fortuna di passare qualche tempo in Messico – io, per esempio, c’ho passato due anni – allora, forse, mi puoi capire. Se hai avuto modo di assaggiare i tacos in un ristorante, in un comedor familiar oppure in un puesto callejero, allora anche tu sei stato contagiato dal virus della nostalgia non tanto per un cibo, ma per una esperienza emotiva che quel cibo attiva. E ora che vivi in Italia, di tanto in tanto, ti fermi a pensare, e ti dici che per una orden de tacos al pastor ti taglieresti volentieri un braccio.

Contagiato dallo stesso virus è Riccardo Ricci, il “Motomacellaio” della scuderia di Dario Cecchini, che dopo due soggiorni in Messico ha pensato bene – e noi gliene dobbiamo essere infinitamente grati – di portare in Toscana, nella sua Panzano ma non solo, quel vortice di emozioni che nasce dall’addentare un taco. Facendo così nascere il suo nuovo marchio MotoTaco (per ora attivo solo su Instagram). MotoTaco sarà a Panzano e in giro per eventi (pubblici e privati) durante la bella stagione.

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Seguitemi bene: se non siete mai stati in Messico, voi, un taco, non l’avete mai mangiato. Non l’avete mangiato nei ristoranti simil-messicani della Toscana, e men che mai in quei ristoranti nostrani che pensano di fare haute cuisine spacciando per tacos quei taco shell fritti e industriali ripieni di spume di pesce o carpacci ed erbette. Di sicuro non l’avete mangiato nelle catene a stelle e strisce come TacoBell. Ma se andare in Messico è fuori budget, una gita a Panzano in Chianti forse è più facile: basta cercare su Google Maps “Cecchini Panini Truck” e arriverete su una bella terrazza lungo la strada Chiantigiana con una vista mozzafiato.

Tutto parte dalla tortilla, rigorosamente di mais, fornita da un piccolo produttore di Bastia Umbria, La Morenita, che, usando esclusivamente mais italiano, arriva a un prodotto finale assolutamente identico a una tortilla messicana.

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Sul ripieno Ricci si è sbizzarrito, attingendo alla sue esperienza di macellaio e scegliendo tagli minori, come la pancia di manzo per Taco Asado o la spalla di maiale per il “Porcotonno”, oppure il Pastrami rumeno. Il tutto condito, naturalmente, da lime e salse di varia piccantezza.

Il piatto forte, tuttavia, il re dei tacos, è lui: il taco al pastor. Carne di maiale marinata in un adobo fatto di spezie, vari tipi di chiles e una spezia yucateca che si chiama achiote (si pronuncia “asciote”) e che dà al pastor l’inconfondibile colore rosso scuro. Il tutto infilzato in uno spiedo verticale come quelli usati per il kebab. E non è un caso: il pastor infatti nasce nella città di Puebla nella prima metà del Novecento come taco arabe, cioè come una forma di meticciato culinario della locale comunità libanese, che all’agnello o manzo sostituisce il maiale e alla marinatura con spezie mediorientali quella con spezie messicane. Sublimando il tutto con cipollina bianca tritata (MotoTaco la offre invece marinata), coriandolo fresco e pezzetti di ananas. L’agrodolce perfetto, un equilibrio di sapori inarrivabile, che commuove ad ogni morso.

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I tacos, quelli veri.

Ricci lo sa. Sa che il taquero non ha alcuna pretesa di autenticità, perchè il taco in sé è meticcio, è fatto per (r)accogliere i ripieni più svariati. Sa che ognuno lo mangia a modo suo, con piña o sin piña, con salsa o senza. Cibo per tutti, di tutti, senza padroni o sacerdoti, cibo anarchico e viaggiatore. L’unico vero taco è quello inautentico.

Ricci lo sa. Sebbene definisca il suo menù come fusion – un termine che non significa niente, soprattutto se utilizzato per descrivere la cucina di un paese meticcio per antonomasia. Ma lo fa per farsi capire da chi il Messico non lo conosce, da chi non distingue nemmeno il singolare dal plurale (un taco, due tacos…), o da chi lo apostrofa “ta’ho”. Ricci sa che il pubblico va educato:

mototacoAnche per questo dobbiamo ringraziarlo.

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Emiliano Wass
Emiliano Wass
Antropologo, docente universitario, consulente editoriale, traduttore e curatore. All'enogastronomia arriva dall'antropologia, convinto che il cibo sia l'unico vero elemento identitario delle persone. Ha svolto lavoro di campo in Messico, occupandosi di diritti e tradizioni indigene. Ha scritto su Finzioni, Doppiozero, Scrivo.me, Distillerie.it.

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