Qui sul Forchettiere, di recente, ci siamo occupati spesso di tacos, come quando abbiamo raccontato delle iniziative del “Motomacellaio” Riccardo Ricci o dei ToscoTacos di Tommaso Fontanella. I segnali che si percepiscono da tutta Italia fanno chiaramente intendere che quello dei tacos è un trend in rapida ascesa, per tante ragioni diverse. E allora proviamo a chiarire qualche punto, così che se vi trovate davanti a qualche menù che lo offre, saprete di cosa si sta parlando.
Cominciamo con l’essenziale: si dice un taco e due tacos. Il primo è singolare, il secondo è plurale. Dire “mangio un tacoS” equivale a dire “mangio una pizzE”. Vergognatevi.
Ma che cos’è, esattamente un taco? Non si tratta d’altro che di una tortilla morbida (per analogia: una mini-piadina, più sottile, e fatta prevalentemente con farina di mais) riscaldata su una piastra e riempita con vari tipi di carne e condimenti (ma anche pesce, come polpo o gamberoni). In Messico hanno una sola regola riguardo al taco: dentro ci puoi mettere di tutto, tranne il dolce. Taco di pollo? Sì. Taco di cioccolata? Giammai! Questo fa sì che il taco sia un piatto estremamente versatile, che ben si adatta alla creatività degli chef, e questa è probabilmente la principale ragione del successo che sta avendo in Italia. Oltre – ça va sans dire – a un food cost particolarmente ridotto.
Il taco, allora, prende il nome dalla carne che lo compone: taco al pastor, taco de bistec, taco de suadero, taco de costilla, taco de chuleta, taco de carnitas e via dicendo. Se non siete mai stati in Messico e vi serve una guida per orientarvi in questo mondo saporito, a cavallo tra street food e fine dining esiste una serie TV, in tre stagioni, che fa al caso vostro: Taco Chronicles, su Netflix.
Tre stagioni, due ambientate in Messico e una negli Stati Uniti, fatte di puntate da massimo 30 minuti dedicate ciascuna a un tipo diverso di taco. Un prodotto narrativo tecnicamente ineccepibile, in cui l’io-narrante è il taco stesso, che parla in prima persona e lo fa persino con accenti diversi (a seconda dell’origine del taco stesso). Un viaggio breve e stimolante in un mondo altro, fatto di tradizioni lontane nel tempo e innovazioni costanti, in un meticciato culinario che forse è l’anima stessa della cucina messicana.
E se questo è vero, allora non mi stupirò, presto, di sapere che qualcuno ha inventato in Italia il taco al lampredotto, oppure il taco di arrosticini o ancora il taco câ meusa…