La trattoria Calino, a Firenze, ha una venerazione gastronomica per i pesci meno “modaioli” e ogni tre giorni Tommaso Cintolesi porta in carta pezzogne, balestre, castagne e sugarelli
Si fa presto a portare in tavola pesci pregiati o comunque di largo consumo – orate, dentici, branzini, salmone – ma quando si esce dal mainstream ittico e il gioco si fa duro, questa è l’ora in cui a imbracciare pentole e padelle inizia Tommaso Cintolesi. Lo chiamano l’uomo dei “pesci strani”, dalle parti di piazza delle Cure, dove da qualche anno lo chef ha trovato casa con la sua trattoria Calino dopo l’esperienza di Scandicci che lo ha fatto conoscere agli amanti della cucina di pesce.
La sua è una trattoria atipica, nel senso che oltre a rispondere ai requisiti canonici come l’utilizzo di materie prime di qualità fa della semplicità delle preparazioni una delle sue cifre distintive, quasi come se non volesse distaccarsi dall’atmosfera casalinga: forno, pentole e padelle bastano, nella sua cucina, mentre rooner o apparecchiature sottovuoto non trovano spazio né ragione nel modus coquinandi di Calino. E dire che tecnica e manualità non gli mancherebbero affatto: prima di aprire bottega a Firenze, Tommaso Cintolesi si è fatto le ossa in ristoranti stellati di Lione con Nicolas Le Bec e alla corte di Romano Tamani all’Ambasciata di Quistello.
Ciò che distingue Calino da ogni altra trattoria di pesce è la preferenza sistematica e rigorosa accordata a pesci poveri e desueti. Quelli lontani dalle mode, forse, ma saporiti e (spesso) più economici. Ecco dunque alternarsi nel menù della trattoria Calino – che per un buon 60% cambia con una frequenza che rasenta i tre giorni – il morone (servito con funghi, carciofi, all’isolana o all’acqua pazza), lo sgombro (crudo e cotto), le acciughe, la pezzogna (in insolito abbinamento col tartufo bianco di San Miniato), i lucci di mare o il polpo nero (in ragù).
E ancora: il pesce balestra e il pesce castagna, il tombarello (la cui carne è vicina a quella del tonno rosso, spiega), il sugarello (ottimo per le tartare), il cappellotto (piccola seppia di profondità), fino alla sciabola, diventata un po’ l’icona del successo di Calino da quanto Tommaso la propose la prima volta cotta al vapore nelle foglie di banana, con verdure croccanti e salsa piccante. Oppure ancora un piatto coi gamberi provenienti 4 luoghi del Mediterraneo: Toscana, Puglia, Sicilia, Spagna), il tonno sott’olio fatto in casa e le cozze del nord della Francia.
In linea con lo stile di Tommaso Cintolesi, alla trattoria Calino l’ambiente è informale, così come i piatti usati per il servizio: per una cucina volutamente semplice, ogni orpello è considerato superfluo. In sala, le foto di Cassius Clay e Aretha Franklin fanno il paio con quella di Luciano Zazzeri (“l’uomo che ha traghettato la cucina di pesce dal passato alla modernità”, spiega lo chef) mentre quando si parla di vini, il suo viso si illumina: le etichette in carta – disponibili tutte al calice – sono semplici, ma con ricarichi più che onesti (dagli 11 ai 48 euro), oltre a qualche maison di champagne fuori carta. Ottime le linguine ai ricci di mare (sopra).
Ciliegina sulla torta, un quadro pieno di ami che – come recita la scritta in calce – mette insieme tutti gli ami che Tommaso Cintolesi ha estratto dalla bocca dei pesci che gli sono capitati in cucina. Ma Calino, seminascosto in piazza delle Cure, è anche questo: tanta e tale dedizione per il pesce da portare lo chef a sperimentare continuamente piatti con… “pesci strani”.