Una buona cucina può trovarsi anche lontano dai riflettori: abbiamo provato i piatti di Daniel Jayousi, chef de L’Oste a Calenzano e tra i vincitori del Best Plate Challenge 2018. Un menu, il suo, che risente di molteplici influenze ma trova una sua personalissima strada
Confesso di aver scoperto la cucina di Daniel Jayousi solo recentemente, come membro della giuria internazionale del Best Plate Challenge 2018. In fondo non è che la zona semi-industriale di un grosso Comune alle porte di Firenze offra molte occasioni di conoscere chef e piatti, e il suo ristorante – L’Oste, alla periferia di Calenzano – non fa eccezione, almeno sulla carta. Però il bello di questo lavoro è che a volte si scopre una buona cucina là dove proprio non te lo aspetti.
E la cucina di Daniel Jayousi – di origini giordane, ormai da più di due anni all’Oste – vale quei 5 minuti di viaggio dai Gigli. Il menu presenta piatti che si ispirano a una serie di tradizioni regionali (soprattutto mediterranee) e internazionali, come nel caso della pizza con acciughe del Marocco anziché del mar Cantabrico, o della tataki giapponese di tonno rosso con insalata di finocchi e agrumi: l’influenza veneta è evidente nel saor di cipolla e uvetta nel baccalà con crema Parmentier, curry e cocco (foto in alto), quella calabrese nei maccheroncini con ragù di polpo e nduja o nei ravioli al lampredotto con salsa di cipolla di Tropea Igp, quella pugliese infine nelle briciole di taralli negli spaghettoni alle vongole con gocce di broccoli.
Iniziamo il viaggio alla scoperta della cucina di Daniel Jayousi con un tris di antipasti: il cappuccino – un supporto che abbiamo visto usare anche a Edoardo Tilli col cioccolato – di baccalà mantecato con vellutata di patate del Fucino; la baclava di gambero kataifi con guacamole; la tartara di tonno pinne gialle con salsa di soia e quinoa soffiata.
Passiamo poi al primo, dal titolo evocativo: Ade e Persefone, ossia un risotto Carnaroli al nero di seppia con crudo di gamberi, bisque e pistacchi tostati. Buona la cottura del risotto, e l’effetto cromatico – giocato tra il nero e il rosso – dà al piatto un plus interessante.
Il secondo primo è una rivisitazione di un evergreen romano, la pasta cacio & pepe. La differenza, nella variazione proposta da Daniel Jayousi, sta nel pepe: né Sechuan né Sarawak, né rosa né bianco, bensì…. cozze. Già, nel macinapepe lo chef ha messo cozze lasciate essiccare.
Un’altra influenza, oltre a quelle che abbiamo già raccontato, Daniel Jayousi la trova nel mondo messicano. Ecco dunque in menu un taco dell’Impruneta con fagioli piattellini. Già, ovviamente il taco è ripieno di peposo. Un piatto del genere l’avevamo assaggiato da Simone Cipriani al FAC ma in quell’occasione nel taco c’era il lesso.
A conclusione, una degustazione dei dessert in carta: oltre al tiramisu e alla torta di mele, spiccano il creme brulé al tè Macha e la cheesecake con cioccolato bianco e frutto della passione. Considerando che gli antipasti oscillano tra gli 8 e i 12 euro, i primi tra i 9 e i 12, i secondi sui 20 euro e i dessert non oltre i 6, una cena all’Oste può essere una ragionevole alternativa ai “soliti” palcoscenici.