Nel centro storico di Firenze, in Borgo San Jacopo, la tradizione partenopea e cilentana vive nella pizza di Luigi Amalfitano e negli evergreen come il pacchero alla genovese
Era stato “referenziato” appena pochi giorni fa da due tra i più importanti pizzaioli fiorentini, Giovanni Santarpia e Mario Cipriano. Come resistere quindi alla tentazione di andare a provare il Pacchero in Borgo San Jacopo, a Firenze, e assaggiare la pizza di Luigi Amalfitano? I (buoni?) propositi di limitarsi alla pizza si sono però scontrati con il canto delle “sirene” della cucina napoletana, dai fritti all’italiana alla pasta col sugo alla genovese.
Negli spazi dell’Oltrarno fiorentino che fino a qualche tempo fa ospitavano un centro estetico, da sei mesi trova posto Il Pacchero – Pizza e cucina, che – come suggerisce il nome – coniuga i capisaldi dell’arte bianca con alcuni degli evergreen della tradizione partenopea. Al forno c’è Luigi Amalfitano, classe ’93, arrivato in Borgo San Jacopo proveniente da Fratelli Cuore, dove ha lavorato alla corte della famiglia Caprarella e contribuito a confermare i Due Spicchi del Gambero Rosso prima alla stazione di Santa Maria Novella e poi nell’attuale pizzeria.
Dalla cucina del Pacchero escono invece fritti (crocché e frittate di pasta in primis) oltre a montanare classiche, alla genovese e – non banale – al fico bianco del Cilento. Proprio questo territorio della Campania viene celebrata sia negli antipasti (capocollo, soprassata, salsicce, bufala di Paestum, pecorino primo sale, ecc…) che nelle insalate e nei primi, dove spiccano i ravioli fatti a mano ripieni di ricotta, noce moscata, prezzemolo, uova e grana.
Sul fronte della pizza, insieme ai grandi classici come Margherita o Salsiccia & friarielli non mancano la Carbonara e una serie di signature che valorizzano prodotti come la scarola scottata (nella foto in alto in combinazione con le alici di Cetara e i chicchi di melograno), oppure il miele d’acacia, la zucca (sia in crema che a fettine) o le patate viola.
L’impasto di Luigi Amalfitano è morbidissimo (siamo sul 70-72% di idratazione), lo spicchio è “carico” ma non invadente, il cornicione gradevolmente croccante (“la lascio sempre qualche secondo in più, in forno” spiega il pizzaiolo). Il risultato è un boccone armonioso nelle diverse sfumature di sapori, sia decisi – capperi e alici – sia delicati, come la stracciatella o la scarola. Anche nella Margherita, la scelta di tenere qualche secondo di più la pizza a cuocere contribuisce a eliminare qualsiasi rischio di “gommosità”.
Per chi ama la cucina napoletana, poi, la vera prova del nove è LA genovese: a Firenze la fanno in pochi, tra cui Francesco Martucci da Sophia Loren. Rispetto ad altre versioni, in quella assaggiata al Pacchero la carne è meno sfilacciata e più compatta, mentre la sfumatura col vino è più evidente. Le porzioni sono abbondanti, con una buona speziatura di pepe e una corretta cottura della pasta.
Il Pacchero oscilla così tra le pizze di Luigi Amalfitano, napoletano di Mergellina, e i capisaldi della cucina partenopea (dal baccala fritto agli scialatielli ai frutti di mare) inclusa la pastiera che arriva dal forno Maddaloni in via Gioberti o il babà alla crema. E rappresenta, insieme a Da Zero e ‘a Puteca, uno dei pochi luoghi a Firenze dove trova spazio la cucina regionale campana, una delle più apprezzate anche a latitudini differenti.
Un punto di forza del Pacchero è il vantaggio di posizione, con la vetrata affacciata sull’Arno. In fondo, è la stessa visuale che trenta passi indietro si può godere dallo stellato Borgo San Jacopo o da locali panoramici come il Golden View.
Avremmo potuto rischiare di imbatterci in un ristorante pedissequamente celebrativo del “pacchero” e trovare questo formato di pasta declinato in infinite variazioni su tema, invece in tutto il menù compare una sola volta. Segno che l’obiettivo dei titolari non è strizzare l’occhio ai turisti o cercare i facili consensi degli assaggiatori seriali, bensì proporre un elegante viaggio di spore tra i vicoli di Napoli e i paesaggi del Cilento.